Storia dell'archivio


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STORIA DELL'ARCHIVIO

1. Formazione dell'archivio

Non esistono, allo stato attuale delle conoscenze, notizie riguardanti l'esistenza di un archivio vescovile comense prima del XIII secolo. Nel 1283, un incendio, provocato dalla fazione dei Rusca avversa al presule Giovanni de' Avvocati (1274-1293), distrusse il palazzo episcopale e l'annesso archivio. Si spiega così la quasi totale assenza di materiale documentario anteriore a tale periodo.
Nuovamente la presenza di un archivio all'interno della sede episcopale è attestata nei primi decenni del XV secolo, quando il vescovo Francesco Bossi (1420-1434) diede ordine di depositarvi gli inventari dei beni degli enti ecclesiastici e assistenziali.

La "struttura" dell'archivio - così come, in parte, è giunta fino a noi - venne formandosi tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVII.
Fu il vescovo Filippo Archinti (1595-1621) a promuovere per primo il recupero di documenti dei tempi precedenti e a disporre la loro collocazione in «uno archivio di noce grande». L'Archinti stesso dichiarò di avervi fatto riporre

molte scritture, quali tutte ho messo insieme io, acquistate, comprate et fatto scrivere a mie spese, poiché alla venuta mia non trovai cosa alcuna di rilievo, et con molte altre scritture delli notari et cancellieri episcopali pertinenti alla Chiesa et mensa episcopale et molte altre tanto vecchie come moderne, tra quali vinti due fascietti di scritture fatte nelle mie visite, distinte a pieve per pieve, et altre diverse.

Si deve, comunque, al suo successore, Lazaro Carafino (1626-1665), un più deciso impulso per la costituzione dell'archivio. Innanzitutto, il vescovo si rivolse alla Congregazione del concilio chiedendo quali documenti dovessero essere conservati. Nel rescritto del 18 dicembre 1626, si dava l'indicazione di «ricuperar quelle [scritture] che ella pretende essere in mano di coloro che per i tempi hanno maneggiata cotesta sua cancellaria» sulla base di un decreto, inviato in allegato, «col quale la sacra Congregazione del concilio ha distinte e dichiarate le scritture che necessariamente devono restare et asservarsi ne gl'archivii e cancellarie episcopali». Qualche anno dopo, in occasione del sinodo del 1633, il Carafino poteva affermare:


Nos, qui quamplurimas scripturas, magno cum dispendio et diligentia, in unum coegimus ad mensae episcopalis et totius ecclesiastici status utilitatem, illud etiam instituere eique locum particularem in palatio episcopali nostro assignare decrevimus. Quare, cum inibi asservari debeant quaecumque scripturae tam publice quam privatae ad ecclesiastica negotia quomodolibet spectantes et ne de iis reponendis in eodem archivio aliqua oriatur dubitandi controversia vel de scripturarum asservandarum qualitate praetendeatur ignorantia, rescriptum a sacra Congregatione concilii Tridentini reportavimus.

In eodem archivio, al quale fu assegnato un locum particularem nel palazzo episcopale, vennero riposti cartulari degli antichi notai di curia e scritture "sciolte" - in parte recuperate, in parte già presenti presso la sede vescovile - fatte rilegare in volumi dallo stesso presule. Di quest'ultima attività resta una traccia sicura nel frontespizio di alcuni di essi (i sette volumina magna e una cinquantina dei volumina parva della mensa vescovile; i due volumi di collazione dei benefici ecclesiastici; i due volumi dei bonorum ecclesiasticorum; il volume «Varie scritture concernenti al stato et revolutione della Valtellina et contado di Chiavenna», segnato "B", della serie "Cantoni svizzeri"; il cosiddetto "Codice Ninguarda"; volumi delle visite pastorali).


A metà del Settecento, sotto l'episcopato di Giovanni Battista Mugiasca (1764-1789), fu avviata una riorganizzazione della cancelleria, con conseguenze anche per la produzione e l'ordinamento delle scritture. All'interno di alcuni «pensieri per il buon regolamento di cancelleria» vennero indicati, con estrema precisione, i registri da compilare: uno generale per «tutte le spedizioni di cancelleria» e registri particolari per le richieste che giungevano in curia, per l'esame dei «confessori semplici», per i concorsi ai benefici, per le questioni matrimoniali, per i benefici. Tali registri si conservano nella serie denominata "Protocolli antichi (dal 1765)".
Contemporaneamente, si procedette a una "ricognizione" della documentazione, collocata in parte presso l'archivio, in parte presso il vicario episcopale. Per l'archivio, una «rubrica generale» elenca singoli pezzi (volumi e pacchi di fogli sciolti) o gruppi più o meno omogenei di pezzi, "segnati" con un numero, da 1 a 73, o con una lettera dell'alfabeto, da "A" a "I". Troviamo, più volte ripetuti, raggruppamenti di: protocolli notarili (indicati con «abbreviature di» e il nome del notaio), fasci di carte con il generico nome di «scritture» seguito dalla specificazione del contenuto (ad esempio, «Scritture giurisdizionali de Svizzeri e Griggioni e Stato di Milano», «Scritture spettanti all'Opera pia», «Scritture attinenti ai feudi della mensa vescovile di Como»), «stati liberi», «atti delle visite pastorali», «atti civili», «ordinazioni», «pergamene antiche». Anche per le carte del vicario generale fu compilato un inventario: i «mazzi», riguardanti soprattutto i rapporti con le autorità civili, contenevano circolari governative, lettere di Carlo Giuseppe conte di Firmian (governatore della Lombardia austriaca dal 1759 al 1782) per affari particolari, numerosi fascicoli per la soppressione di conventi, collegiate, confraternite, documentazione relativa alle Tre Leghe e alla Svizzera. Non sappiamo se tutte queste scritture abbiano continuato a "risiedere" presso il vicario; sicuramente si trovavano in Archivio nella seconda metà dell'Ottocento, quando furono smembrate e riordinate da don Giovanni Battista Gianera.

Una successiva svolta nell'ordinamento dei documenti fu l'adozione da parte della cancelleria, nel 1828, di un sistema di classificazione che prevedeva la suddivisione in nove titoli (rispettivamente clero, beni ecclesiastici, istituzioni canoniche, matrimoni, seminari e istruzione, confraternite, contenzioso, circolari, indulti). I documenti venivano protocollati con l'indicazione del titolo di riferimento e un numero progressivo all'interno di ogni anno. Completa ci è giunta la serie dei relativi registri di protocollo (ad essi si devono aggiungere un registro-repertorio dal 1828 al 1878 e 4 registri di indici per gli anni 1839-1842).

In questa prima metà dell'Ottocento si verificò, inoltre, un consistente depauperamento della documentazione, in seguito al regolamento sul notariato del 17 giugno 1806 che prevedeva la consegna all'«Archivio generale notarile» di «tutte le abbreviature» dei notai che avevano lavorato per il vescovo e per la curia. Di conseguenza, buona parte delle carte recuperate durante gli episcopati Archinti e Carafino si trovano ora presso l'Archivio di Stato di Como, mentre rimangono nell'Archivio della diocesi i volumi fatti rilegare in quell'epoca.



2. Riordinamenti ottocenteschi

Col lungo volgere dei secoli [l'Archivio] venne mano a mano a disordinarsi talmente che ora è divenuto quasi inservibile e reclama un completo e ben meditato riordinamento.

Siamo alla fine del 1889, e il vicario capitolare, Giacomo Merizzi, informava il Regio economato generale dei benefici vacanti di Lombardia su quanto si andava facendo per porre fine a tale disordine, provocato - così fu scritto - «in massima parte [dal]l'obbligo, ingiunto dal governo italico ed eseguito nel 1812, di concentrare nell'Archivio notarile provinciale tutte le matrici e gli originali degli atti de' notai».
Innanzitutto, nel riordinare tutta la documentazione, si era provveduto a una separazione delle carte in tre fondi: quello della mensa vescovile - già sistemato a metà Ottocento -, quello dell'Opera pia Gallio - ancora da studiare nella sua organizzazione attuale - e quello della curia, affidato al procancelliere Giovanni Battista Gianera, il quale, a partire dal 1887, «in ore fuori d'ufficio», iniziò la sistemazione, «avendo per criterio direttivo di ripartire gli atti per ordine di materia, tempo e luogo».
Se è difficile indicare il lavoro svolto in quei tre anni (1887-1889), più precisa, invece, risulta essere l'opera complessiva svolta dal Gianera negli oltre quarant'anni di sua presenza in curia, prima appunto come procancelliere e poi come cancelliere (1892-1933). Sommariamente, il suo intervento si è articolato in:
  • formazione di una sezione denominata «Sezione documenti» - comprendente le due attuali serie "Parrocchie" e "Istituzioni canoniche" - con materiale proveniente in parte dai fascicoli che si trovavano presso il vicario generale, in parte da carte già protocollate sotto uno dei nove titoli, con l'aggiunta di fascicoli coevi;
  • predisposizione di un titolario per riordinare tutta la documentazione presente in Archivio. Il nuovo sistema di classificazione conservava, a grandi linee, la ripartizione per materie del protocollo introdotto nel 1828 e, con una più precisa suddivisione di ciascun titolo in classi (nelle bozze del titolario indicate come «fascicoli»), vi faceva "rientrare" altre serie dell'Archivio e le "carte" del vicario generale che non erano state inserite nella sezione «Documenti». Solo in parte fu completato tale riordinamento, di cui resta traccia nella formazione di alcune di queste classi unite alla restante documentazione dei titoli I, V, VI, VIII, IX.
Potrebbe risalire a don Gianera anche la formazione delle serie «Cantoni svizzeri» e «Monasteri antichi soppressi» (ora confluita nella serie «Religiosi»), costituitesi con documentazione già presente nell'inventario generale della curia della seconda metà del Settecento, con carte provenienti dal vicario generale e successive aggiunte.

Un documento coevo al riordinamento del Gianera ci informa che l'archivio della mensa e quello della curia - denominati generalmente «archivio delle temporalità della mensa vescovile» e «archivio spirituale della curia vescovile» - erano conservati in due diversi locali: il primo - forse perché ritenuto di maggiore importanza sia in quanto serviva per la gestione corrente dei beni, sia per la presenza dei documenti più antichi - in un «ampio scaffale presso la cancelleria», il secondo «in ampio salone a tre locali adiacenti, con centinaia di mazzi e cartelle». Il vescovo Alfonso Archi (1905-1925), il 22 gennaio 1924, rispondendo alla circolare sugli archivi del 15 aprile 1923, inviata agli ordinari d'Italia dal card. Pietro Gasparri, precisava che i due archivi si trovavano «in locali adatti, al primo piano, custoditi a chiave, forniti di protocolli e indici generali, nonché di cataloghi particolari delle materie più importanti».

Già durante il successivo episcopato di Alessandro Macchi (1930-1947), quando fu cancelliere e archivista Giovanni Baserga, si ritenne, però, non più adatta tale collocazione:

Una cura particolare dedicò monsignor vescovo all'archivio vescovile, che dalla stanza dove era, inadatta, oscura e tutto affastellato, volle collocare in ambiente migliore per luce e maggior ampiezza. Con felice sistemazione trovò locali più acconci per disporvi il copioso materiale, colla sua importante sezione storica riguardante la Valtellina e le lotte religiose coi Grigioni, come pure la sezione degli atti di visita dei vescovi comensi. Anzi per dare maggior agio di consultazione agli studiosi volle in archivio vescovile fossero riposti anche due altri fondi archivistici di valore eccezionale e cioè quello della mensa vescovile, che possiede codici interessantissimi, e quello della fabbrica del duomo con tutte le sue pergamene e codici quattrocenteschi.

Sul Bollettino ecclesiastico ufficiale del marzo 1936, all'interno delle «Regole per la curia vescovile di Como», venne presentato l'ordinamento dell'archivio, diviso in una parte antica e in una corrente. Quest'ultima presenta i nove titoli del protocollo del 1828, con l'aggiunta del titolo X per il foro ecclesiastico e del titolo XI per le Ordinazioni.

Dopo pochi mesi dal suo ingresso in diocesi, il vescovo Alessandro Maggiolini (1989-2006) provvedeva a una generale sistemazione dei locali e dell'attrezzatura, facendo avviare il lavoro di inventariazione dei fondi archivistici e disponendo la riapertura a una regolare consultazione dei documenti da parte degli studiosi.